I sintomi dell’osteoporosi, come si diagnostica e cura
PUBBLICATO IL 18 OTTOBRE 2024
L’osteoporosi è una malattia “silenziosa” che solo in Italia si stima provochi 568.000 fratture ossee da fragilità all’anno (65 all’ora) e affligga oltre 4 milioni di persone, moltissime delle quali non seguono alcuna cura a causa di inadeguata conoscenza della malattia, mancate diagnosi o inadeguata aderenza alla terapia farmacologica prescritta.
In occasione della Giornata Mondiale dell’Osteoporosi, che si celebra il 20 ottobre, il dottor Fabio Massimo Ulivieri, reumatologo esperto in patologie del metabolismo osseo e osteoporosi della Casa di Cura La Madonnina, ci parla meglio di questa patologia, di come si riconosce e di come si cura.
Che cos’è l’osteoporosi
“L’osteoporosi è una malattia che provoca un progressivo deterioramento del tessuto osseo, che diviene più fragile e soggetto a fratture anche per traumi minori” spiega il dottor Ulivieri.
In particolare, le fratture più importanti interessano:
- vertebra;
- femore;
- polso;
- omero.
Le differenze tra osteoporosi, artrite e artrosi
L’osteoporosi viene spesso confusa con altre patologie ossee come l’artrite e l’artrosi, che risultano anch’esse comuni nella terza età. Le peculiarità di ciascuna di esse, a ogni modo, possono essere sinteticamente riassunte come segue:
- osteoporosi: riduce la resistenza delle ossa al carico, rendendole fragili e più soggette a fratture.
- Artrosi: è una patologia degenerativa che provoca dolore e rigidità articolare, soprattutto all’inizio del movimento.
- Artrite: è un’infiammazione articolare che provoca dolore, gonfiore, arrossamento delle zone articolari con rigidità e perdita della funzionalità.
Quali sono i sintomi e come si riconosce
Le manifestazioni cliniche dell’osteoporosi sono solitamente poco specifiche e di difficile individuazione, in particolare nel paziente anziano. Si tratta di:
- dolori alla schiena, soprattutto in posizione eretta o dopo sollevamento e trasporto di pesi;
- abbassamento significativo della statura;
- postura più incurvata, da cifosi dorsale.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di una malattia “silenziosa”, asintomatica o con pochi sintomi sino all’evento fratturativo. Si stima che 1 donna su 3 e 1 uomo su 5 che ne sono affetti non sappiano di esserlo, per cui l’unico modo per intercettare la patologia in tempo è una sua diagnosi precoce.
Chi colpisce
L’osteoporosi colpisce persone di ogni etnia e genere, ma interessa particolarmente le donne dopo la menopausa, nelle quali il calo degli estrogeni riduce la protezione naturale delle ossa, accelerando la perdita della loro resistenza al carico gravitario.
La frattura da fragilità dell’osteoporosi
Una frattura da fragilità in età avanzata ha conseguenze importanti su:
- qualità di vita di chi la subisce: in termini di mobilità, autonomia e anche mortalità; in particolare per la frattura di femore;
- spesa pubblica: non solo per i costi di ospedalizzazione per trattare la frattura, ma anche per le spese successive di riabilitazione e gestione dell’invalidità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 20% di chi si frattura il femore a un anno dall’evento è deceduto e l’80% non ha recuperato la completa autonomia.
Oltre a ciò, va considerato che la presenza di una frattura da fragilità, anche se guarita correttamente, condiziona un incremento significativo del rischio di successive fratture nonostante le terapie farmacologiche disponibili e di efficacia.
I farmaci che causano osteoporosi
Una causa importante di osteoporosi è anche l’assunzione prolungata di alcuni farmaci che possono interferire con il metabolismo del tessuto osseo: un tessuto vivo che viene rimodellato continuamente. Fra questi farmaci di particolare impatto vi sono:
- corticosteroidi, utilizzati per trattare patologie infiammatorie croniche;
- alcuni farmaci per il trattamento del tumore della mammella e della prostata;
- gli inibitori di pompa protonica, di cui vi è ampio abuso.
Per questo motivo, è importante monitorare la salute ossea durante trattamenti prolungati con tali farmaci e adottare misure preventive, a iniziare da una diagnosi precoce, una dieta e uno stile di vita adeguati.
La diagnosi dell’osteoporosi con la MOC
La diagnosi dell’osteoporosi avviene tramite un esame semplice, indolore, non invasivo e a bassissima emissione di raggi X: la MOC o Mineralometria Ossea Computerizzata.
Il paziente viene fatto sdraiare su un lettino apposito, rimanendo immobile mentre uno scanner passa sopra le aree da esaminare (solitamente la colonna vertebrale e il femore) di cui vengono misurati gli indici di densità minerale ossea, texture ossea, resistenza in rapporto ai carichi e di geometria ossea, così da poter:
- diagnosticare l'osteoporosi;
- stimare il rischio di fratture da fragilità;
- monitorare l'efficacia dei trattamenti, durante il percorso terapeutico.
Gli indici della MOC
La MOC va, infatti, a misurare:
- la densità dei minerali nello scheletro, detta Bone Mineral Density (BMD): il parametro più importante per caratterizzare la resistenza di un materiale sottoposto a carico, essendo la resistenza esponenzialmente proporzionale alla densità minerale ossea;
- la texture dell’osso (Trabecular Bone Score, TBS), cioè l’omogeneità di distribuzione spaziale della materia che compone una costruzione come lo scheletro;
- la deformazione dell’osso sottoposto a carico (Bone Strain Index, BSI), la sua elasticità,; la capacità di deformarsi al carico;
- la geometria del femore prossimale (Hip Structural Analysis, HSA), ovverosia della parte del femore che si collega al bacino.
Cura dell’osteoporosi
L'osteoporosi non può regredire del tutto, poiché il danno osseo causato dalla malattia è permanente. A ogni modo, può essere gestita e la sua evoluzione rallentata in maniera efficace attraverso trattamenti adeguati che riducono il rischio fratturativo, agendo sulle componenti ossee quantitative e qualitative identificate dagli indici MOC: BMD (Bone Mineral Density), TBS (Trabecular Bone Score), BSI (Bone Strain Index) e HSA (Hip Structural Analysis).
Farmaci
Il trattamento può essere farmacologico, tramite l’ausilio di farmaci che agiscono sulle seguenti cellule ossee:
- osteoclasti, che riassorbono il tessuto osseo per far posto al nuovo;
- osteoblasti, che lo ricostruiscono.
Entrando nel dettaglio, i farmaci principali contro l’osteoporosi sono:
- bifosfonati e denosumab, che riducono principalmente il riassorbimento osseo;
- modulatori selettivi del recettore estrogenico, ovverosia farmaci che agiscono sull’osso come naturalmente fanno gli estrogeni prima della menopausa;
- teriparatide e romosozumab, che stimolano soprattutto la formazione di nuovo osso.
A questi vanno aggiunti, se necessario, integratori di calcio e vitamina D, fondamentali per assicurare un corretto funzionamento del “cantiere dello scheletro” che quotidianamente riassorbe e ricostruisce il tessuto osseo.
Attenzione ai fattori di rischio
Oltre ai farmaci, è essenziale una dieta che preveda un corretto apporto di calcio e vitamina D, nonché la correzione di quelle abitudini alimentari e di vita che costituiscono fattori di rischio per l’osteoporosi, come:
- alimentazione troppo ricca di proteine e di sale;
- vita sedentaria con poca attività fisica all’aperto;
- consumo di alcool oltre le dosi considerate accettabili;
- abitudine al fumo.
Tutti questi fattori condizionano un accentuato rischio di osteoporosi e possono ridurre l’efficacia delle terapie farmacologiche volte a ridurre il rischio di frattura da fragilità.
L’importanza di seguire la terapia
Una volta iniziata la cura con i farmaci specifici è, poi, importante una loro costante assunzione. L’aderenza alla terapia per osteoporosi è, infatti, un problema ben noto e segnalato: la metà dei pazienti l’abbandona nel primo anno in cui la inizia, condizionando significativamente l’efficacia della cura nel lungo periodo.
“Seguire la terapia farmacologica senza interruzioni, anche quando non si avvertono sintomi è fondamentale – spiega il medico -. Non bisogna farsi ingannare dall’assenza di manifestazioni cliniche o dalla loro scomparsa, che ci fanno credere di essere guariti: solo una terapia costante e di lunga durata può garantire una riduzione anche di più del 50% del rischio di frattura presente alla diagnosi iniziale”.
Frequenti controlli densitometrici (ogni 18/24 mesi) e biochimici possono, inoltre, rassicurare sulla buona risposta alla terapia e aiutare a mantenere una rigorosa aderenza alla stessa.