Coronavirus e fecondazione assistita: le risposte sulla PMA ai tempi del Covid-19

PUBBLICATO IL 13 MARZO 2020

Covid-19 preoccupa chi cerca un bambino con la PMA. La scienza, con i dati a disposizione, al momento dà notizie tranquillizzanti. Parola all’esperto. 

Considerando l’epidemia di Coronavirus, è meglio rimandare il desiderio di una gravidanza? Chi ha intrapreso un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) deve fermarsi?  Le donne incinte rischiano di trasmettere il virus al feto?

Sono queste e molte altre le domande che in questi giorni vengono sottoposte ai ginecologi sul tema fecondazione assistita e coronavirus. 

Il dottor Mario Mignini Renzini - professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Milano-Bicocca; referente medico per gli aspetti clinici dei centri Eugin in Italia e responsabile del Centro di Procreazione Medicalmente Assistita della Casa di Cura La Madonnina di Milano, parte del Gruppo San Donato - risponde alle domande con le evidenze scientifiche a supporto. 

Coronavirus e concepimento 

“Da quando si è avuta la percezione che il coronavirus non è più un problema lontano, - spiega il dottor Mignini Renzini -, ricevo numerose richieste di consulti da pazienti che desiderano sapere se interrompere la ricerca di una gravidanza e attendere un momento più tranquillo per riprovarci. 

Questo mi accade sia con pazienti fertili, che stanno quindi provando a concepire in maniera naturale, sia con pazienti infertili che stanno seguendo un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA). 

Innanzitutto - chiarisce il dottore -, è importante precisare che qualsiasi sia il metodo di concepimento, i comportamenti da tenere e le precauzioni sono gli stessi”. 

Coronavirus e PMA: le risposte della scienza 

“Per quel che riguarda poi l’aspetto della PMA - spiega lo specialista -, non sono presenti ad oggi evidenze circa la possibile trasmissione del virus attraverso gli ovociti o il liquido seminale. 

La nota del Centro Nazionale Trapianti del 3 marzo 2020 sottolinea che “per la PMA omologa non sono previste specifiche restrizioni, salvo manifestazioni evidenti di sintomatologia in atto, compatibili con infezione da SARS-CoV-2, fatte salve diverse e specifiche restrizioni regionali”.

In merito alla PMA eterologa , lo stesso documento raccomanda di acquisire, per le nuove donazioni,  una dichiarazione supplementare del Centro inviante per accertare che i donatori siano stati valutati per il rischio di infezione e ritenuti non a rischio. 

Per questo, presso la Clinica Eugin, dove eseguiamo trattamenti di fecondazione omologa ed eterologa, proviamo a confortare le coppie e raccomandiamo loro di adottare scrupolosamente le norme e misure dettate dalle Istituzioni allo scopo di prevenire il contagio. 

Da un punto di vista laboratoristico, l’impiego dei gameti dei coniugi o di donatore/donatrice nei trattamenti di fecondazione assistita risulta essere sicuro esattamente come alcune settimane fa, prima dell’avvento del virus”. 

In gravidanza si può trasmettere il virus al feto?

La preoccupazione principale di tutte le pazienti in gravidanza è quella di poter trasmettere – in caso di positività – il virus al feto. 

Gli studi attualmente a disposizione, riguardanti la trasmissione verticale del virus – ossia dalla madre al feto - pur con i limiti legati al basso numero di casi analizzati, sono indicativi di assenza di passaggio transplacentare del SARS-CoV-2. 

“Pertanto - commenta il ginecologo - si può al momento propendere per assenza di embriopatie legate all’infezione in corso di gravidanza”. 

Gli studi condotti in Cina

Un recentissimo studio condotto in Cina e pubblicato su The Lancet, riporta i primi 19 casi di donne in gravidanza e neonati da madri con sintomatologia clinica da Covid-19.

Da questa pubblicazione sappiamo che il virus non è stato rilevato nel liquido amniotico o nel sangue neonatale prelevato da cordone ombelicale. 

Ne è recente conferma anche il caso del neonato di Piacenza nato negativo da madre positiva. 

Un ulteriore studio pubblicato da The Lancet nel Vol. 395 del 7 marzo 2020 afferma che nei due casi di infezione neonatale verificatisi in Cina – registrati 17 giorni e 36 ore dopo la nascita – vi è stato, rispettivamente, nel primo caso un contatto diretto con persone positive al coronavirus (la madre e la caposala del reparto maternità), mentre nel secondo caso un contatto diretto non può essere escluso. 

Al contempo, lo studio rileva che non vi è al momento evidenza di trasmissione verticale da mamma a bambino. 

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